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COMUNITA’ ENERGETICHE E TERZO SETTORE: OPPORTUNITA’ O PROBLEMA? 

Prima esisteva un dubbio normativo anche se era opinabile il dubbio stesso, ora è risolto con il decreto-legge n. 57/2023 che include la “produzione, accumulo e condivisione di energia da fonti rinnovabili a fini di autoconsumo” tra le attività di interesse generale di cui all’art. 5, comma 1, d.lgs. 117/2017 (“Codice Terzo Settore, CTS”) e l’art. 2, comma 1, d.lgs. 112/2017. 

Un passo indietro, cos’è la CER?  

La comunità energetica rinnovabile (CER) è un soggetto giuridico  i cui soci o membri con potere di controllo all’interno della CER possono essere cittadini, piccole e medie imprese (per le quali la partecipazione alla CER non costituisca l’attività commerciale e industriale principale), enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, le associazioni con personalità giuridica di diritto privato, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, quelli del terzo settore e di protezione ambientale, che condividono, tramite i loro consumi, l’energia elettrica rinnovabile prodotta da impianti a fonte rinnovabile. La CER è un soggetto giuridico autonomo il cui obiettivo principale è fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera. (v. www.GSE.it) 

Come principio, la CER si configura come strumento efficace per attivare processi di economia circolare, realizzando risparmio energetico mediante la produzione di energia rinnovabile e promuovendo inclusione delle fasce sociali più deboli della popolazione. 

Con il D.lgs.199/2021, il Governo ha introdotto incentivi per tutte le CER che entreranno in funzione entro il 30 giugno 2026 e, con una specifica norma del PNRR, sono state disposte risorse per le CER dislocate nei Comuni con popolazione sotto i 5000 abitanti, cioè 5.520.  

Si potrà accedere a una tariffa incentivante per una durata di 20 anni per la produzione di energia rinnovabile e avere un contributo in conto capitale a fondo perduto per la messa in opera delle stesse CER. 

Altri benefici come ETS: erogazioni liberali, imposta di registro in misura fissa per tutti gli atti, possibilità di partecipare a procedure di amministrazione condivisa, utilizzo del social bonus. 

Per quanto riguarda la governance dell’ente, la CER risponde a criteri virtuosi di sostenibilità maggiori di uno stesso ETS. 

Tra le opportunità di creare una CER come ETS vi è anche quella fiscale e d’altro genere come il poter accedere all’istituto dell’“amministrazione condivisa”.  

Inoltre, ci si potrebbe strutturare una CER in forma di società di capitali.  Una CER deve fornire benefici ambientali, economici o sociali senza distribuire utili ai propri soci, escludendo così forme giuridiche quali SpA , SrL che non siano quella cooperativa o impresa sociale.  

Il basso numero però di CER nel Terzo Settore è sicuramente dovuto a poca conoscenza e serve certamente una semplificazione normativa-burocratica. 

Infine, è bene discernere la forma di ETS ottimale o di impresa Sociale. 

Fondamentale, non pensare solo al bene dei “Soci” ma includere le fragilità del territorio e cercando di incarnare lo spirito sociale del Terzo Settore che pensa al bene comune e non al solo bene particolare. 

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